Deficit, l'Italia rischia di pagare un conto salato alla UE

Il rischio che venga aperta una procedura formale di infrazione nei confronti dell'Italia è molto concreto. Il Governo ha appena inviato una lettera di risposta alle autorità europee in merito alla questione del deficit eccessivo, e questo documento sarà inserito nella preparazione delle previsioni economiche, che rappresentano il primo passo dell'iter che esaminerà al microscopio i nostri conti pubblici. Un processo che formalmente comincerà oggi, quando il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il premier italiano Paolo Gentiloni si incontreranno al vertice informale dei 28.

Il mese della verità per Italia e UE sul deficit

Bisognerà attendere poi un'altra decina di giorni (13 febbraio) perché si conoscano i nuovi numeri su deficit nominale e strutturale, debito e Pil. Se non dovesse esserci spazio per trovare quello 0,2% chiesto dall’Unione europea, allora il nostro  deficit strutturale porterebbe al mancato raggiungimento degli obiettivi per il terzo anno consecutivo. Da qui la probabile reazione della UE, con la procedura per debito eccessivo.

 

Il momento in cui potrebbe essere "notificata" all'Italia questa intenzione è il 22 febbraio. Quel giorno infatti verrà pubblicato da parte delle autorità europee il Rapporto Paese, ovvero un report relativo  all'economia di ognuno dei Paesi dell’Unione evidenziando anche gli eventuali squilibri. Se saranno stati riscontrati dei problemi riguardo l'Italia, lo scopriremo ufficialmente quel giorno e ci sarà poco da fare a quel punto, visto che il rapporto viene reso noto solo dopo il giudizio finale sulla violazione della regola del debito, e quindi solo dopo la decisione della Commissione di aprire una procedura.

 

Ma cosa rischia l'Italia? Tanto. La Ue potrà infliggerci una sanzione sotto forma di un deposito infruttifero pari allo 0,2% del pil (casualmente la stessa cifra che ci chiedono di correggere). Oltre a questa ammenda però, è possibile l'aggiunta di una componente variabile fino allo 0,5% del pil. Nel caso dell'Italia sarebbero circa 8,5 miliardi. Inoltre la Ue potrebbe bloccarci l'erogazione dei fondi strutturali. Poi ci sono i costi indiretti che una tale procedura comporterebbe: i titoli di Stato diventerebbero appetibili solo se avessero dei rendimenti più alti, e quindi un costo interessi maggiore per lo Stato.